Vai al contenuto
Home » Lavoro » Figure professionali » Contratti pirata: quando il risparmio sulle buste paga diventa un boomerang

Contratti pirata: quando il risparmio sulle buste paga diventa un boomerang

In Italia si parla spesso di occupazione e disoccupazione, ma meno di che tipo di lavoro viene offerto. Negli ultimi anni, soprattutto nei settori del commercio, del turismo e dei servizi, è esploso un fenomeno che rischia di passare inosservato: quello dei contratti pirata.

Lo ha messo nero su bianco una recente analisi di Confcommercio: a fronte di circa 250 contratti collettivi nel terziario e nel turismo, solo pochi sono davvero rappresentativi. Accanto a contratti nazionali solidi e riconosciuti, proliferano oltre 200 accordi “minori” che promettono stipendi più bassi e tutele ridotte. In pratica, una scorciatoia che all’apparenza fa risparmiare le aziende, ma che sul lungo periodo indebolisce tutti.


Per chi lavora con un contratto pirata, la differenza si sente eccome. Un dipendente può arrivare a perdere più di 8.000 euro lordi all’anno rispetto a chi è inquadrato con un contratto nazionale di riferimento come quello di Confcommercio. E non si tratta solo di soldi:

  • le indennità per malattia o infortunio coprono appena il 20-25%, contro il 100% dei contratti maggiori;
  • il welfare aziendale praticamente non esiste;
  • gli orari di lavoro sono più lunghi e meno regolamentati.

E se i lavoratori guadagnano meno e hanno meno tutele, a pagarne le conseguenze sono anche le imprese corrette, costrette a competere con chi gioca al ribasso.


Guardando fuori dall’Italia, la differenza è evidente.

  • In Germania, solo i contratti firmati da sindacati e associazioni realmente rappresentativi sono validi e possono essere estesi a tutto il settore.
  • In Francia, serve che almeno il 50% dei lavoratori sia rappresentato e ogni contratto passa sotto la lente del ministero prima di diventare valido.
  • In Italia, invece, manca un criterio ufficiale di rappresentatività: risultato, una vera e propria giungla di contratti.

Secondo Confcommercio, la strada passa da regole più chiare e trasparenti:

  • certificare chi può davvero firmare i contratti,
  • legarli al settore di attività dell’impresa,
  • rendere obbligatoria la tracciabilità del contratto applicato,
  • dare più forza agli enti bilaterali che offrono welfare, formazione e supporto concreto a imprese e lavoratori.

Fonte: Confcommercio