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Google non venderà Chrome, ma dovrà condividere i suoi dati con i rivali

Una delle cause antitrust più seguite degli ultimi anni negli Stati Uniti si è conclusa con una decisione destinata a cambiare gli equilibri del web. Un giudice federale di Washington D.C. ha stabilito che Google non sarà costretta a vendere il suo browser Chrome, ma dovrà aprire i suoi preziosi archivi di dati di ricerca ai concorrenti.


google cache

La richiesta originaria del Dipartimento di Giustizia USA era drastica: separare Chrome da Google per ridurre la posizione dominante del colosso di Mountain View. Un’ipotesi che aveva attirato l’interesse di aziende come Perplexity (che aveva offerto oltre 34 miliardi di dollari) e persino OpenAI, interessata a rafforzare il proprio ecosistema di ricerca basato sull’intelligenza artificiale.

Il giudice Amit Mehta ha però respinto la proposta, ritenendo che non ci fossero prove sufficienti per dimostrare che Chrome fosse il fulcro del presunto monopolio.


Se Chrome rimane a Google, non così i suoi dati sulle ricerche, considerati da molti il vero “oro digitale”. La sentenza impone infatti all’azienda di condividere parte dei suoi database con i rivali, come Bing, DuckDuckGo e le piattaforme emergenti.

Questi dati, accumulati in decenni di attività, sono stati finora un vantaggio competitivo quasi insormontabile: permettono a Google di migliorare i risultati di ricerca grazie a un ciclo continuo di raccolta e analisi. Condividerli significa offrire agli sfidanti una chance reale di recuperare terreno.


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Google ha espresso forte contrarietà, sostenendo che l’accesso ai dati potrebbe aumentare i rischi per la privacy e la sicurezza degli utenti. La preoccupazione non è infondata: i dati di ricerca contengono informazioni estremamente sensibili e il modo in cui verranno condivisi dovrà essere regolamentato con grande attenzione.


La decisione arriva in un contesto segnato dall’esplosione dell’intelligenza artificiale generativa, che sta ridefinendo il modo in cui le persone cercano e consumano informazioni. Sistemi come ChatGPT e Perplexity stanno mettendo in discussione il dominio di Google, spingendo i giudici a considerare non solo lo scenario attuale, ma anche quello futuro.

Come ha scritto lo stesso giudice Mehta: «Qui al tribunale viene chiesto di guardare nella sfera di cristallo e prevedere il futuro. Non proprio il punto forte di un giudice».


Il Dipartimento di Giustizia ha parlato di una “grande vittoria per il popolo americano”, nonostante non abbia ottenuto la vendita di Chrome. Google, dal canto suo, ha presentato la sentenza come un successo, sottolineando che l’AI ha reso la concorrenza più vivace che mai.

In realtà, la decisione potrebbe avere conseguenze molto più profonde di una vendita forzata: se i rivali sapranno sfruttare i dati a cui avranno accesso, potremmo assistere a una nuova stagione di innovazione e a un web finalmente meno dominato da un unico attore.

Fonte: Wired Italia